Ottavo capitolo del mio libro…

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Alcuni cavalli nitrirono, Francesco si rigirò nel sonno. Aprì un poco gli occhi e sentì solo il suo respiro. Dagli scuri delle finestre poteva intravedere quei pochi raggi di sole che riuscivano a filtrare. “Sarà l’alba” pensò e chiuse gli occhi, sperando che avrebbe potuto dormire ancora per un’oretta prima che sua madre fosse venuta a svegliarlo. Pensò allo strano sogno fatto stanotte. Un sogno terribile. Si trovava nel medioevo, fra armigeri, nobili, anitre, belle damigelle… A questo pensiero sorrise impercettibilmente e nel farlo si immaginò quella bella ragazza bionda che diceva di volerlo sposare. Ci pensate? Lui sposato nel medioevo… alla sua età! Roba da ridere! E detto questo abbracciò il cuscino. C’era qualcosa però che non andava in quel cuscino. Non aveva il suo odore, era stranamente duro, come se dentro non ci fossero piume d’oca, ma paglia. “Ma cosa… ma è paglia! E cosa ci faccio a letto vestito? Un momento, dal mio letto non posso vedere la finestra, perché….” Francesco si guardò i piedi, e vide che uscivano dal letto di almeno 25 cm. “Perché non è il mio letto!!” Si alzò di scatto, ma un violento capogiro lo fece quasi cadere. Superato l’attimo di “buio” si avvicinò alla finestra e la spalancò con forza. I raggi dell’alba lo costrinsero ad abbassare lo sguardo. Appena si abituò alla luce, si rese conto che quello che pensava fosse un sogno, era invece la realtà: si trovava veramente nel medioevo. Di sotto stavano passando ogni sorta di cavalieri con tanto di armatura e cavallo, contadini e servi che camminavano intenti nei loro compiti. Più lontano non vide né automobili, né strade, né palazzi, ma solo campi e viottoli sterrati. Poi sentì che qualcuno stava aprendo la sua porta e cercò di ricomporsi come meglio poteva. Entrò un servo e gentilmente gli disse: “Sua eccellenza Sir Gabbriello vostro padre, desidera conferire con voi padrone, se volete seguirmi vi porterò da lui. Mi preme avvertirvi che stamattina vostro padre non è di buon umore.” Francesco si mise in tasca il cellulare, che già stava subendo le attenzioni del servo e lo seguì. Arrivarono in una stanza ovale, con arazzi, tappeti e un tavolo, anch’esso ovale. Un grosso camino occupava buona parte della parete sud. Un fuoco ardeva scoppiettante. Due finestre si affacciavano sulla corte del castello. A tavola sedeva Sir Gabbriello; alla sua destra uno strano figuro, incappucciato, dal corpo esile, e con uno sguardo misterioso. Appena lo vide mormorò qualcosa all’orecchio del suo signore e mostrò un sorriso falsissimo a Francesco. Dall’altra parte del tavolo, invece, vi era quello che poteva essere un prete, racchiuso nei suoi paramenti sacri, mentre infondo, con aria malinconica se ne stava Brunetto. “Buon giorno a tutti”, esordì Francesco. Fece un cenno con la testa a Brunetto, che accennò un lieve sorriso. Dopo averlo salutato sbrigativamente, Sir Gabbriello gli fece cenno di sedersi e Francesco ubbidì. “Bene” disse il suo presunto padre. “Voglio sperare che la notte ti abbia portato consiglio figlio mio, perché oggi è un giorno importante e non tollero nessuno scherzo, sono stato chiaro? Per il futuro non terrò conto di quello che hai fatto ieri, sei ancora un ragazzo inesperto, ed io quando ero in giovane età ho fatto cose molto più avventate. Come puoi vedere, Monsignor Vito è venuto in vece del cardinale, per confessarti prima della cerimonia di domani. Prima però c’è una cosa che voglio sistemare. Sir Brunetto, qua dietro, mi ha detto che possiedi un marchingegno tale da poter consegnare un messaggio senza cavallo in un secondo. Volevo farlo rinchiudere nelle segrete per questo, ma insiste nel dire che tu, mio figlio, possiedi tale prodigio, come si chiama… talfano… tilof… ehm… come si chiama?” Chiese rivolgendosi a Brunetto. “Telefono”. Disse mestamente l’omone. “Bene mostraci telefono dunque.” Francesco era tra due fuochi. Se ammetteva di possedere lo “strano marchingegno” avrebbe sicuramente passato dei guai, se invece avesse detto che Brunetto si era inventato tutto, avrebbe condannato il suo amico ad una fine indegna. Che fare? “Vostra eccellenza” iniziò Francesco, “temo che quello che vi dirò non vi farà piacere. Io non so come dirvelo, ma… ecco… Io non sono vostro figlio!” “Ancora con questa storia” sbottò Sir Gabbriello. “Ti proibisco di…” “Non sono vostro figlio!” insistette Francesco. Stava per continuare a dire le solite frasi: che veniva da un’altra epoca e tutto il resto, quando invece aggiunse d’un fiato: “Io vengo dalle coste del mar Tirreno, sono un giullare e un cantastorie. Guardate i miei vestiti, vi sembrano normali? Chi in questo castello ne ha simili? Nemmeno il più umile dei servitori. A Brunetto ho raccontato una delle mie storie e quando mi ci metto sono così bravo, che sembra che racconti la realtà. Telefono non esiste, è un marchingegno della mia fantasia, tant’è che lui non l’ha mai visto, vero Brunetto, che non l’hai mai visto?” Francesco incrociò le dita. Tutti gli sguardi dei presenti andarono sul pover’uomo, che imbarazzatissimo rispose: “Si, io… devo essermi confuso, il colpo in testa mi ha fatto scorgere cose che erano solo nella mia mente…”. Francesco tirò un sospiro di sollievo. “Eccellenza, pagherei tutto l’oro del mondo per diventare anche solo vostro nipote, figuratevi vostro figlio! Credetemi, io sono un giullare”. L’uomo incappucciato che fino ad ora era stato in silenzio, parlò: “Eccellenza, io ritengo che vostro figlio non sia costui. Dai modi e dai termini che usa riesco a capire che proviene da fuori i vostri domini. Ma in sè ha qualcosa che non mi convince. Quei vestiti, quelle calzature, quel modo di parlare così inusuale… Non vorrei che questo ragazzo fosse un cattivo presagio. Lasciate che me ne occupi io mio signore, ho dei filtri magici che individuano il maligno immediatamente.” “E’ incredibile, eppure la somiglianza con mio figlio è impressionante! Ma allora, dove è mio figlio? Se sei a conoscenza anche di un minimo particolare, ti ordino di riferirmelo immediatamente!” “Vostra eccellenza, con tutto il rispetto parlando, non credo che vostro figlio sia uno stupido. Molto probabilmente sarà andato a fare una gita dimenticandosi di avvertirvi.” “Mio figlio non si allontanerebbe mai senza il mio permesso. Non l’ha mai fatto e non lo farà finche vivrà sotto il mio tetto.” A Francesco gli vennero in mente gli stessi discorsi dei suoi genitori. A distanza di 700 anni erano gli stessi. L’uomo accanto al Signore, che doveva essere il suo consigliere, disse: “Mio signore, questo ragazzo che dice di essere un giullare, non sembra essere una persona qualunque. Mettiamolo alla prova. Se davvero è quello che dice di essere, divertirà il suo pubblico.” Sir Gabbriello lo guardò dubbioso per qualche secondo. Francesco si sentì sotto esame. “E sia! Sei un giullare? Dimostracelo allora. Fate entrare le guardie ed alcuni servi! Che assistano alla prova di costui.” Francesco guardò Brunetto, che seppe soltanto alzare le spalle. Cosa avrebbe fatto? L’unica cosa che sapeva fare era raccontare barzellette, ma il senso dell’humour della gente del medioevo, non sarebbe stato certamente in linea col suo. Dalla grande porta del salone entrarono tre servi e due armigeri, che si posizionarono intorno a lui. “Avanti” lo incitò il consigliere. “Mostraci la tua bravura.” Si metteva male. Francesco esitò un po’ poi si esordì con questo: “C’è un prete, e un bambino che…” Ma subito il monsignore lo guardò accigliato e Francesco si corresse. “C’è Pierino a scuola…” “Chi è questo Pierino? Non ne ho mai sentito parlare” Mormorò Sir Gabbriello. “Ma no, è un personaggio di fantasia, lasciatemi finire” protestò Francesco. “Allora: c’è Pierino a scuola che dice alla maestra: maestra è vero che le palle di Natale sono pelose? “E la maestra: ma che dici Pierino, non è mica vero.” “A no? Natale, tirati giù i pantaloni e fagli vedere le palle!! Bellina eh?” Francesco accennò una risatina. Il signore guardò il consigliere, poi padre Vito, quindi si rivolse al ragazzo: “Dunque? Non capisco. Natale è un ragazzo? E cosa centra col Santo Natale? Cosa si nasconde in queste tue parole? Spiegati meglio.” Francesco capì che le palle di Natale forse ancora non esistevano. “Non importa sentite quest’altra: cosa fa un passero di tre kg su un ramo? Eh?” Il monsignore azzardò. “Si riposa!”
“No!” Fece eco Francesco.
“Mmm vediamo, prega?”
“No!”
“ Per me guarda qualcosa e basta, cosa dovrebbe mai fare un passero su di un ramo?” Disse spazientito Sir Gabbriello.
“No!”
Allora tutti guardarono il consigliere, che preso alla sprovvista dette una risposta senza particolare interesse. “Mangia?”.
“Sbagliato! Lo sapete cosa fa un passero di tre kg su un ramo? Un passero di tre kg su di un ramo fa… CiiiiiiiiiiiiP!!!” Francesco rimase immobile con le gambe piegate ed un sorriso imbecille sulle labbra, aspettando le reazioni dei presenti. Due servi dietro al signore parlottarono tra di loro facendo segni di dissenso. Monsignor Vito rivolse gli occhi al cielo e il consigliere bisbigliò qualcosa che Francesco non afferrò, nell’ orecchio di Sir Gabbriello. “Bè? Cosa c’è, non vi è piaciuta?” Schiarendosi la voce Sir Gabbriello rispose piccato: “Senti figliolo. La nostra pazienza ha dei limiti. Perché ci dovremmo stupire per una cosa di siffatta banalità? E’ evidente a tutti che un passero su di un ramo o su di un campanile cinguetta come è proprio fare dei passeri. Cosa c’è dunque di così divertente e interessante perché susciti in noi ilarità?” Francesco non pensava che quel pubblico fosse così difficile, ma ora era veramente nel panico. Cosa poteva dire per far ridere un signore medioevale? “No, è che, in effetti, io non sono un giullare vero e proprio…”
“Visto sua eccellenza che avevo ragione? E’ una spia e sta confessando! Rinchiudetelo, prima che sia troppo tardi!” Si sbrigò a dire quell’odioso consigliere. Ma Sir Gabbriello non era poi così precipitoso e lasciò parlare il ragazzo. “Chi e cosa saresti allora? Sbrigati, la mia pazienza ha un limite!”
“Io sono un illusionista, un uomo capace di illuminare gli oggetti con il solo tocco della mia mano, guardate!!” E così dicendo tirò fuori il cellulare, accendendo il display. “Stregoneria!” Fu pronto a dire il consigliere. “Mio signore, questa è la prova!!” Le guardie sguainarono le spade e circondarono Francesco. Con il cellulare acceso davanti a se non sapeva cosa dire, poi si buttò: “Fermi dove siete se non volete che scateni i fulmini della mia ira! “E spinse il bottone della suoneria. Un trillo intenso sferzò le orecchie dei presenti, creando un panico imprevisto. Le guardie osservavano timorose quell’apparecchio tanto strano, il monsignore era sotto il tavolo in ginocchio e il consigliere si era aggrappato così forte al mantello di Sir Gabbriello che quasi rotolò in terra. Brunetto, che era rimasto silenzioso ed in disparte fino a quel momento, decise che era il momento di entrare in azione. Attraversò la sala di corsa urtando le due guardie mandandole a gambe all’aria, prese sulle spalle Francesco e corse fuori dalla stanza fra urla e cicalini telefonici. Era già alla porta che dava sul piazzale sottostante quando si sentì afferrare per il mantello, e girandosi di scatto vide il giovane volto della figlia del duca: “Dove credi di andare con il mio promesso sposo? Mettilo giù, te lo ordino!” Ma invece di obbedire alla bella fanciulla, Brunetto ragionò a senso unico e afferrandola come un sacco di patate, se la mise sotto braccio, uscendo di corsa dal castello e andando verso il boschetto vicino. Dietro di sé lasciò il rumore e lo sferragliare di armi e armature dei soldati che li inseguivano urlando.

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