Lo so, avevo detto che se avessi visto interesse per il mio racconto, avrei pubblicato altri due capitoli, ma l’interesse non c’è stato. Come mai li pubblico lo stesso? Fatevi gli affari vostri! Vabbè ve lo dico. Una collega della federazione pugilistica ha manifestato quell’interesse e allora le tolgo la curiosità di vedere se anche i capitoli successivi non sono di gradimento. O vediamo se ora vi comincia a piacere!
CAPITOLO SECONDO
Si stava facendo buio, e Francesco ancora non si rassegnava. Era arrivato sino alla strada provinciale, ma dell’asfalto nemmeno l’ombra. Al suo posto c’era un sentiero, nemmeno troppo marcato. “E’ la strada che porta al castello”, aveva detto Brunetto. Percorsero la strada fino a che arrivarono ad un bivio. Giratosi verso Brunetto, che era rimasto in silenzio per tutto il tragitto, forse per rispetto verso il suo padrone, Francesco volle sapere la strada giusta per il castello, ma prima che Brunetto potesse rispondere successe una cosa a dir poco incredibile. Dalla tasca interna del giaccone di Francesco, il cellulare squillò. Brunetto sguainò la spada allarmato. Francesco prese in mano il telefono e Brunetto, vedendo il display che s’illuminava, esclamò: “Prodigio!” Ma come era possibile? Se davvero si trovava ai tempi del granducato, come era possibile che il suo cellulare ricevesse un segnale radio? Francesco lo lasciò suonare, guardandolo allibito. Dopo cinque squilli si ammutolì. Francesco rimase circa due minuti con lo sguardo fisso sul display sul quale compariva la parola “CHIAMATO ANONIMO”. Stava sognando? Rivoltosi a Brunetto disse: “Dammi un pugno, svelto!”. “Ma Sir, non oserei mai” “Dammelo è un ordine!” “In questo caso se proprio insistete, io non sarò certo la causa di un vostro dispiacere Sir.” E detto questo gli sferrò una manata sul naso mandandolo lungo disteso. Un po’ frastornato Francesco si toccò il naso sanguinante: “Lo sapevo! Lo sapevo!” “Lo sapevo anch’io Sir che vi avrei procurato dolore” “Non sto sognando! E’ tutto vero!” Iniziò ad urlare Francesco. “Ma dove cavolo sono capitato?!” “Gran ducato di Toscana” Disse prontamente Brunetto. “Ma chi sei te, eh? Chi sei? Chi ti vuole? Vai via!! “Ma padrone… io vi devo la vita!” “Io, non la voglio la tua vita! Io rivoglio la mia, quella che stavo facendo nel 1997!” Il ragazzo gli prese le mani callose e lo implorò: “Ti prego, dimmi che è tutto uno scherzo eh? Ti prometto che non mi arrabbio, su dimmi: ok, qui c’è una telecamera e il tuo cellulare è truccato, dimmelo dai.” Brunetto non sapendo che pesci pigliare, obbedì: “Ocche, abbiamo scherzato, qui c’è la tua camera e le celle amare son truccate… o qualcosa di simile”. “Andiamo.” Fu tutto quello che riuscì a dire Francesco. E s’incamminò verso il castello che si intravedeva in lontananza.
CAPITOLO TERZO
La strada saliva leggermente. Brunetto seguiva di qualche passo Francesco, che non aveva più detto una sola parola e non sapeva che pesci prendere. Quelle torri e quelle mura che vedeva in lontananza, cosa gli avrebbero serbato? Che persone avrebbe incontrato? Avrebbe rivisto la sua famiglia? I suoi amici? Il suo pensiero poi si posò su Giulia. Non poteva tollerare di averla persa per sempre, senza prima averle spiegato cosa sentiva per lei, per quale motivo la loro storia poteva ricominciare, insomma tutte quelle cose che si devono dire quando un rapporto finisce e uno dei due non l’ha ancora capito. “Come hai detto che si chiama il conte?” Chiese all’improvviso. “Sir Gabbriello, signore di queste terre, baluardo…” “Ho capito, bastava solamente il nome”. Dopo un attimo di pausa continuò. “Che persona è questo conte?” “Bè, la sua persona e di siffatta misura, circa tre spanne, larga una e mezzo. Pelo nero come la pece, ed occhi verdi come un falco cacciatore”. Disse fieramente Brunetto. “Io parlavo del suo comportamento. Non è che mi farà impiccare come eretico se mi presento a lui vestito in questa maniera?” “Mirando le vostre strane vesti non mi maraviglierei se vi facesse cambiar d’abito, ma presumo che non vi nuocerà quando dirò che siete lo salvatore della vita mia. Ma se devo essere veritiero, terrei telefono nascosto per il momento. Forse non è ancora tempo di mostrare i suoi prodigi. A proposito, quale prodigio compie telefono di preciso?” Non sapendo da dove cominciare, Francesco provò a dare una spiegazione elementare dell’utilizzo del telefono. “Allora, è molto semplice.” Brunetto lo guardava con due occhioni curiosi. “Ascolta. Come fate voi a portare un messaggio da una regione all’altra del paese?” “Vediamo… viene spedito un messo che con un cavallo porta lo messaggio a chi di dovere” “Esatto! Il telefono serve a questo, invece di usare un messaggero, che ci impiega anche dei giorni a portare un messaggio, noi nella nostra epoca, usiamo il telefono e in un secondo possiamo far conoscere ad un’altra persona il messaggio. Hai capito?” “Certo!” Rispose prontamente Brunetto. “Ma il cavallo come fa in un secondo a portare il messaggio?” Il sorriso sulla faccia di Francesco se ne andò rapido come era venuto e si rese conto che non era una cosa facile spiegare il funzionamento di un oggetto del 20° secolo ad un villico del 14°. “Il cavallo non c’entra. Si usa solo questo apparecchio. Aspetta che ti faccio vedere.” Francesco chiamò la segreteria telefonica, e avvicinò all’orecchio di Brunetto il telefono che, appena sentì la voce registrata, esclamò: “Prodigio!! Questo marchingegno parla!” L’uomo sfoderò lo spadone e lo puntò verso il telefono. “Fermo, fermo! Non aver paura, è una voce registrata!”. Francesco si rese conto che non poteva capire, perciò si corresse. “Cioè, la persona che ho chiamato dice sempre la stessa cosa, è uno scherzo, un gioco.” Brunetto adesso lo guardava con diffidenza. “Voi mi nascondete qualcosa. Voci maligne e metalliche ho udito. Un demone nano si nasconde dentro telefono. Quel marchingegno non vi porterà alcun favore alla presenza di Sir Gabbriello. Nascondetelo e non fategli proferire parola.” Sembrava molto sicuro di sé, perciò Francesco se lo infilò nella tasca posteriore dei jeans e i due ripresero il cammino verso il castello, che oramai si ergeva diritto, imponente davanti a loro.